La guerra, la pace e il cibo
Ancora sulla dimensione ‘etica’ del cibo; può la difficile ricerca della pace, ad esempio in Medio Oriente, passare attraverso il cibo?
Chefs for peace, nata nel 2001, è un’associazione che mette insieme 25 cuochi arabi ed ebrei, uniti dall’amore per il cibo, al di sopra di ogni colore politico o accento religioso; una piccola, straordinaria realtà che non fa clamore, composta da cuochi arabi e israeliani, di religione ebrea, mussulmana e cristiana, uniti dalla convinzione che il dialogo fra israeliani e palestinesi possa passare anche attraverso il comune linguaggio del cibo.
Da quando si sono uniti in associazione, promuovono occasioni di dialogo e partecipano a manifestazioni in giro per il mondo, per diffondere questo messaggio. Il loro auspicio? “Portare attorno a un tavolo i capi politici delle due parti, per provare loro che se cuochi ebrei ed arabi possono lavorare insieme in armonia, facendo cose buone, anche la convivenza pacifica dei due popoli è possibile”.
A cena con i terroristi è il titolo di un libro di Phil Rees, giornalista della BBC, da vent’anni in giro nei paesi in conflitto:“Il mio libro è provocatorio, ma voglio far capire che attraverso il cibo si capiscono culture diverse. Cibo è un mezzo per capire le differenze”.La guerra toglie il cibo
L’impatto del conflitto sulle produzioni alimentari è nefasto. Le popolazioni migrano, le mine uccidono e rendono incoltivabile il terreno. Il Sudan è un esempio ormai classico di questo orrore: la strumentalizzazione della fame come arma di guerra.
In Afghanistan ci sono 8 milioni di mine, sparse in campi e pascoli, il 40% dei villaggi è distrutto, e il 4% della popolazione è disabile e non può quindi lavorare il poco terreno coltivabile. Con i russi, i frutteti avevano bisogni di acqua, ma i canali erano stati coperti e i frutteti erano abbandonati. Ora con la liberazione la situazione non è migliorata. L’insicurezza del cibo dura anche dopo il conflitto e aggiunge dolore a quello già presente per i ricordi della guerra.
In Cambogia, durante la dittatura degli Khmer rossi tutti i campi erano minati. Era impossibile quindi coltivarli dell’alimento che dava più sostentamento. Il libanese Kamal che ha vissuto la guerra in prima persona: “La prima cosa che tutti facevano era immagazzinare cibo, non si comprava benzina, ma si cercava cibo”.
“La carestia, la peste e la guerra - scrive Voltaire nel Dizionario filosofico alla voce “Guerra”- sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo”. E continua: “Questi due regali [carestia e peste] ci vengono dalla Provvidenza. Ma la guerra, che riunisce tutti questi doni, ci viene dall’immaginazione di tre o quattrocento persone sparse sulla superficie del globo sotto il nome di principi o di ministri… Il più ardito degli adulatori ammetterà senza fatica che la guerra si trascina sempre dietro la peste e la carestia… È davvero una gran bella trovata quella che devasta le campagne, distrugge le abitazioni e fa morire, in media ogni anno, quarantamila uomini su centomila..”.
Moshe Basson e Odeah Abu Elhawa, cuoco israeliano il primo, palestinese il secondo, entrambi membri di ‘Chefs for peace’, saranno a Modena per Gusto Balsamico, rassegna degli aceti dal mondo e dell’agrodolce che si terrà dal 5, all’8 ottobre prossimi.
Per maggiori informazioni:www.gustobalsamico.itwww.museodelbalsamicotradizionale.orgwww.balsamicotradizionale.itwww.balsamico.it
Attilio Lauria
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Posted by admin on Ottobre 7th, 2007 filed in Spunti e Spuntini |