Ristoranti Etnici
Che il cibo abbia una forte componente identitaria, aspetto già indagato in qualcuna delle news precedenti, è confermato dall’antropologo Tullio Seppilli: “Le forme dell’alimentazione sono socialmente e culturalmente prodotte, per questo cambiano da cultura a cultura, ma anche all’interno di una stessa cultura in differenti periodi storico-economici, inoltre è differente a seconda della collocazione strutturale dei vari gruppi umani all’interno di una determinata società e dei singoli individui. Molteplici infatti sono gli elementi che concorrono allo sviluppo delle forme di alimentazione: le strutture socio-economiche; le modalità istituzionali, organizzative, normative e comportamentali; le modalità degli addestramenti tecnici e valutativi che alle pratiche alimentari risultano finalizzate (il saper cucinare ecc…); la “logica” che sottende nelle singole culture alla selezione e combinazione di alimenti-base nella preparazione delle pietanze; i significati culturali “aggiunti”, simbolici, spesso caricati di valutazioni positive o negative che alla alimentazione vengono culturalmente attribuiti in un determinato contesto sociale ed infine la simbolizzazione di singole tradiMore…zioni gastronomiche che sono diventate rappresentative di specifiche comunità etnico-culturali†La moda dei ristoranti etnici e della cucina fusion sta dilagando in tutta Italia, ma specialmente a Milano, città da sempre entusiasta di sperimentare. I ristoranti giapponesi sotto la Madunina sono ormai più numerosi delle pizzerie, i take-away di sushi fanno affari d’oro, e ‘l’uso maldestro delle bacchette è diventata la prima causa di incidente domestico’. È quanto afferma in un ‘gustoso’ articolo pubblicato sul numero dell’Espresso attualmente in edicola Michele Serra, che ironizza su questa moda dilagante con una ‘mappa’ dei locali che fanno tendenza:
Amaghi Sinto Kale Misturi Club È il più raffinato e costoso tra i ristoranti giapponesi di Milano. Se ne dicono mirabilie, ma è ancora in attesa dai primi clienti a causa della grande difficoltà di ricordarsi il nome per la prenotazione. Kikkule Il primo ristorante di cucina esquimese è stato aperto sui Navigli da Yurk e Bark, una giovane coppia di cacciatori di foche della Terra di Bering. Lui ai tavoli, lei in cucina, anche se è impossibile distinguerli. Ci si va soprattutto per assaggiare il merluzzo alla fiocina, ma vanno forte anche il carpaccio di tricheco, l’insalata di licheni con peli di tricheco e il rarissimo stinco di tricheco. Tutti i cibi sono marinati a lungo in aceto di mele, e anche i clienti prima di uscire devono essere sottoposti allo stesso trattamento per levare il fortissimo odore di tricheco. Belli gli arredi hi-tech dell’architetto milanese Edo Minutelli: dei grossi ganci da pescheria che scendono dal soffitto, ai quali vengono appesi gli sgabelli per i clienti. Si mangia tutti insieme, secondo l’uso esquimese, appoggiati direttamente a un bancone di legno mentre in diffusione si possono ascoltare le nenie della Terra di Bering.Bongo Café Un locale di cucina congolese in pieno centro di Milano, a due passi dalla city. Un’idea del genere poteva venire solo a Kiko Figurelli, l’architetto milanese che sognava da sempre un tocco congolese nel cuore della sua città . Ed ecco il Bongo Café, con personale esclusivamente africano, tranne i suonatori di tam-tam che sono ex orchestrali della Rai disoccupati. Originalissimo l’happy-hour a base di tartine di antilope, che viene macellata sul posto tra le suggestive urla rituali del personale. Buono il salame di pitone, interminabile al taglio.Agli antipodi Nato dall’appassionata fantasia del designer milanese Miro Fumagalli, questo ristorante neozelandese è un’esperienza imperdibile per gli appassionati del mare, che si ritroveranno in un ambiente tipico, tra reti da pesca, arpioni, aragoste di plastica e lampare. A prima vista sembra di essere in un qualunque ristorante ligure di qualche pretesa e di bassa qualità , ma è solo un’impressione.
La Nuova Zelanda, spiega ai clienti il patron Geno Fumagalli, fratello di Miro, è identica a Spotorno, anche nei sapori e nelle atmosfere. Imperdibili le trenette al pesto.
Mish-mash Il Mish-mash è il vero e proprio tempio della cucina fusion. Il massimo dell’audacia global e della sperimentazione senza frontiere. Il proprietario è un franco-vietnamita, il cuoco è egiziano, l’aiuto-cuoco canadese, le ricette turche, la carne è argentina, i camerieri sono ominidi della Galassia di Oberon, la cassiera è una ex battona del porto di Amburgo scelta perché è la sola che riesce a mantenere la disciplina. Al Mish-mash non sai mai quello che puoi mangiare, il menù cambia ogni sera a seconda di quale delle etnie presenti è riuscita a sopraffare le altre e impossessarsi dei fornelli. Interessanti gli arredi dell’architetto milanese. Dado Canobini: delle panchine in plexiglas fluorescenti che occupano l’intero locale, compresi i bagni. Meglio portarsi da casa un tavolino pieghevole se si vuole appoggiare il piatto.
Sushi ‘al binario’ Da un’intuizione geniale dell’architetto milanese Gugo Misuretti, è il primo take-away che porta rotolini di sushi in tutta la città su un sistema di nastri trasportatori molto ramificato. Unico inconveniente, l’assalto dei topi durante il percorso sotterraneo del sushi, e quello dei piccioni durante il tragitto all’aria aperta. È molto glamour, nella Milano più spigliata e dinamica, quella della moda e della pubblicità , riuscire a individuare un pezzo di sushi intatto lungo i nastri trasportatori che percorrono ogni quartiere, e inghiottirlo in un boccone pagandolo 30 euro a pezzo.
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Posted by admin on Ottobre 20th, 2007 filed in Spunti e Spuntini |