Bello da vedere
A proposito del cibo ‘bello da vedere’, è stata inaugurata in questi giorni, presso il Complesso Monumentale del San Giovanni a Catanzaro, una mostra dal titolo “Il convito e l’arte†(tra l’Ottocento e il Novecento), curata da Francesca Cagianelli, Stefano Fugazza e Dario Mattoni, mostra suddivisa in tre sezioni che ha come tema il convito, ovvero, la tavola con la sua carica di socialità . Â
Un contenitore per alimenti in alluminio: è la confezione di 2398gr., titolo – che è anche il peso del volume – di un libro di Fabrica (il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton), che interpreta il cibo nei suoi diversi aspetti sociali, politici, e culturali: designer, performer, fotografi, scrittori, videomaker, insieme con alcuni fra i più eccentrici esponenti del mondo dell’arte (da Alan Fletcher a Stephan Segmaister, da James Victore a Javier Mariscal, da Anna Fox a Wolfgang Tillmans, da Martì Guixé a Reed Kram), per dimostrare che il cibo è l’oggetto che più di tutti stimola la nostra polisensorialità .
2398gr. sceglie quindi di esplorare il cibo in tutte le sue sfaccettature visive per un’interpretazione gastro-estetica della condizione umana.
Dal punto di vista antropologico, tutte le culture del mondo celebrano le più importanti occasioni con un banchetto in cui il cibo è l’elemento centrale di un più complesso rituale, per cui, inteso come trasformazione culturale di ciò che alimenta il nostro corpo, il cibo rappresenta nella storia delle culture uno dei momenti centrali della ritualità collettiva: Martì Guixé, nella prefazione, afferma che “l’oggetto cibo sembra essere l’unico tipo di prodotto in grado di sedare le ansie di consumo, possesso e rappresentazione della società contemporanea.â€
Paola Antonelli a sua volta, nell’introduzione al volume individua i percorsi paralleli del cibo e del design, arrivando a definire il cibo come un’ode alla creatività umana: è materia prima e prodotto finito, è colore, tela e input creativo del pittore, dipinto e cornice allo stesso tempo.
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Cibo ‘bello’, dunque, da vedersi o da mangiare, come scrive Ave Appiano, docente di comunicazione visiva presso l’Istituto universitario di lingue moderne di Milano, in Bello da mangiare. Il cibo come forma simbolica nell’arte (Meltemi editore).
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Tanto per curiosare, vi segnalo il sito http://www.artedamangiare.com/Â
Scrive il cardinale Mazzarino nel ricordare i banchetti del Louvre: “Similmente sieno de’ granchi crudi mescolati cò cotti, carni piene d’ossi impastate di farina, come in prestigio degli occhi (…) rotelle impastate di ghiacciuoli, che si sfarinino quasi senza toccarle. Si procurino alcune vaghezze, cangianti ad ogni tratto spontaneamente i colori, e che si veggano insieme insieme e spariscano…â€Â
Quella dedicata al cibo bello da vedere è dunque un’attenzione antica, che oggi ha i suoi eredi negli strateghi del marketing, quelli, tanto per capirci, dell’equazione bello da vedere = buono da mangiare; in questa pubblicità troviamo addirittura un Laboratorio di Architettura Alimentare….
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Sempre in tema, il Progetto MORF-FOOD ad esempio, è uno “studio psicoanalitico sull’estetica del cibo e della sua presentazione nei luoghi di vendita e consumo, supermercati, ristoranti, ecc,â€, come lo definiscono i suoi ideatori, Vittorio Riguzzi, Donato Luna, Matteo Mugnani.  (http://www.matteomugnani.com/Morf-Food.htm)
Un lavoro che - sempre secondo gli autori - si ispira agli studi condotti da Ferran Adrià presso l’Atelier estetico-gastronomico del celeberrimo ristorante “El Bulliâ€â€¦.
Ancora, come esempio dell’attenzione che sempre più la nostra società presta all’aspetto esteriore dei cibi, il Salone del Mobile 2007, che tra le manifestazioni collaterali annoverava “Food à porter. Nuove architetture del cibo veloceâ€, organizzato dal magazine Ventiquattro del Sole 24 ore, che veniva così presentato:
“Unendo i mondi del cibo, lusso e design, l’iniziativa mette in gioco la creatività di dieci giovani designer italiani e stranieri selezionati per progettare un contenitore per cibo e bevande che possa soddisfare le nuove esigenze della “business community”; Marva Griffin, curatrice del Salone Satellite, e Silvia Annicchiarico, Design Curator della Triennale di Milano, hanno selezionato otto designer italiani e due stranieri per interpretare
Esasperazioni? Comunque la si pensi, anche quelle contribuiscono comunque a definire la contemporaneità ….
Attilio Lauria
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Posted by admin on Ottobre 4th, 2007 filed in Spunti e Spuntini |