Uno Sguardo Inadeguato
15 giugno - 8 settembre 2013

«Semplicità e onestà»
di Fulvio Merlak 

«Pagare e parlare: solo questo può fare lo spettatore "benevolente" cui i media somministrano quotidianamente lo spettacolo del dolore? Possiamo ancora fidarci delle denunce a mezzo stampa o attraverso la TV? Siamo davvero garantiti che il nostro impegno potrà concretarsi in azioni efficaci per chi soffre? E non è tutto questo un comodo alibi per sentirci "anime belle" di fronte a carestie, epidemie e massacri?». Sono queste le domande che compendiano, in quarta di copertina de "Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica" (Editore Raffaello Cortina, 2000), l’analisi di Luc Boltanski sul modo impiegato dai mezzi di comunicazione per raccontare i genocidi e le guerre, e sul ruolo dello spettatore che, davanti al continuo martellamento di immagini di violenza, rischia di assumere (come sosteneva pure Susan Sontag) un atteggiamento anestetizzato.
Orbene, quali sono le reali conseguenze della messa in scena del dolore che ogni giorno di più ci raggiunge, senza mezzi termini, a casa nostra? Le fotografie di atrocità, che quotidianamente arrivano dalla Siria piuttosto che dalla Palestina, dall’Afghanistan piuttosto che dal Sudan, ci angosciano oppure ci narcotizzano? Riescono a smuovere le nostre coscienze, oppure ci inducono ad una sorta di assuefazione? Il problema, probabilmente, sta nello sguardo del fotografo, uno sguardo che deve lasciare spazio alla discussione, alla perplessità, al dubbio, spazio alla volontà di conoscenza e di partecipazione solidale. Perché, come dice Michele Smargiassi: «Le fotografie devono costringerci al dovere di guardare, non sottoporci al fastidio di essere guardati». Ma il problema sta anche nello sguardo dello spettatore, del fruitore delle immagini. Uno sguardo molto spesso inadeguato, privo del necessario vero coinvolgimento emotivo e, quindi, sprovvisto della capacità di una reazione etica.
«La mia visione personale del fotogiornalismo – sostiene Francesco Zizola – è inizialmente etica. Il fotogiornalismo è un linguaggio che ha a che fare con gli uomini e il mondo in cui vivono; racconta gli uomini e il loro agire e può essere legittimato come racconto solo se il fotografo ne rispetta l'esistenza e la dignità. La fotografia oltre ad essere uno specchio della realtà è anche uno specchio dell'interiorità del fotografo stesso; nell'immagine fotografata vediamo la realtà rappresentata e leggiamo allo stesso tempo la scelta interpretativa del fotografo, e con essa il suo proprio universo culturale ed etico. Una buona fotografia giornalistica ha a che fare molto con il rispetto che il fotogiornalista ha del mondo e dei suoi abitanti».  
Le fotografie di Luca Catalano Gonzaga, Francesco Comello, Ermanno Foroni, Enrico Genovesi, Daniele Lira, Antonio Manta, Antonella Monzoni, Gianmarco Panucci, Alessandra Quadri e Roberto Strano che accompagnano la mostra di Francesco Zizola, rappresentano una conferma di come sia possibile soddisfare la missione informativa senza mai venire meno al rispetto per la sofferenza o anche “solo” per la dignità dell’uomo. Il loro modo di far fotografia si caratterizza per semplicità e onestà. Del resto la buona fotografia non ha bisogno di essere sensazionalistica, e soprattutto non ha la necessità di aggiungere dolore al dolore.