Enrico Genovesi affronta la questione di giovani senegalesi, dipendenti “regolari”, che tentano di integrarsi in un mondo restio ad accoglierli. Questo “work in progress” evidenzia la spiccata personalità dell’autore che, con un linguaggio fotografico coinvolgente, spinge il lettore a riflettere sul problema di una certa e adeguata dimora. Il portfolio fa leva sull’angoscia dello sfratto per 12 extracomunitari, locatari di una casa da quasi dieci anni, a cui il proprietario non vuole rinnovare il contratto, nel prevalere della fredda legge di mercato. In questa difficile situazione comunicativa, Genovesi mostra la sua sensibilità: le sue immagini, leggermente desaturate, riescono ad indagare con rispetto nell’habitat, nella quotidianità, nei momenti di relax di questi precari di tanto. Lo sguardo attento coglie i collegamenti al vissuto dei giovani, come lo spazio dedicato alla preghiera o i media che li ancorano alle loro origini culturali. La preparazione della cena o il momento d’assaporare il caffè, importanti occasioni di aggregazione, denunciano negli sguardi silenziosamente eloquenti il desiderio di avere una casa “pagando il giusto, come quello che pagano gli italiani… percheÅL a noi stranieri chiedono molti soldi di piu`”.1 Ma lo sguardo del ragazzo sotto i trolley che dall’armadio incombono sulla sua vita, non comunica la stessa serenità dello stormo dei colombi che all’inizio del portfolio spiccano il volo, sapendo di poter tornare nel loro nido, al sicuro.