Sezione Scuole
di Massimo Agus
La vicinanza, o la distanza, tra il dentro e il fuori misura e determina lo spessore e l’autenticità di un lavoro fotografico. Definisce anche il concetto che si ha della fotografia: una finestra attraverso cui conoscere il mondo o uno specchio che riflette l’interioritàdell’autore? Oppure le due cose insieme, come diceva Luigi Ghirri: “...la ricerca di quello strano e misterioso equilibrio tra il nostro interno e il mondo esterno”. (Lezioni di fotografia, 2010).
Il dentro e il fuori si incontrano su quella soglia in cui i frammenti di realtà colti dall’obiettivo diventano corrispettivi oggettivi, equivalenze, (secondo Alfred Stieglitz) o corrispondenze, manifestazioni (con le parole di Minor White) dei sentimenti, degli stati d’animo, delle esperienze esistenziali, delle memorie felici o dolorose che l’autore sta cercando di esprimere. Un percorso della fotografia che non parte dalla realtà esterna per testimoniarla o interpretarla, ma dalla necessità soggettiva di esprimere un proprio moto dell’animo, di raccontare una esperienza personale, di riflettere su una questione sociale o culturale con uno sguardo che affronta lo specchio del proprio io come strumento per scoprire il mondo. Negli ultimi anni il presente è stato occupato da un’invadente e a tratti distopica realtà che domanda uno sforzo di comprensione spesso estremamente difficile. Forse per questo diventa necessario rivolgerci all’immaginazione che, esercitata con autenticità, costituisce il veicolo per andare oltre l’opacità del quotidiano. Questa è la strada che i giovani studenti e diplomati della LABA di Firenze hanno percorso nell’affrontare la complessità del tema della Biennale. Superando il concetto duale di specchio e finestra, hanno rivolto il proprio sguardo su di sé, come terreno privilegiato da cui osservare, quasi da esterni, il mondo che si manifesta nel proprio vissuto, nel proprio corpo, nelle proprie sensazioni e percezioni. In un tempo in cui ogni altro segnale di guida e di direzione ha perso validità e credibilità, si scrutano senza autocommiserazione per ritrovare le ragioni el proprio esistere, e individuare nel proprio sentire la chiave per comprenderlo. Non si tratta soltanto di guardarsi allo specchio e rappresentare i propri sentimenti e stati d’animo, ma piuttosto di aprire una finestra per confrontarsi con sé stessi e intercettare dimensioni del proprio vissuto da raccontare, dando ad esse un valore che vada aldilà del proprio io. Affacciandosi a questo specchio-finestra e rivolgendo lo sguardo verso di sé e contemporaneamente verso l’esterno, ognuno intraprende un viaggio nell’esperienza della propria individualità, che diventa occasione per affrontare tematiche che dal personale si allargano ad investire problematiche che coinvolgono tutti e sono momento di riflessione sulla contemporaneità. Un ventaglio ampio di stati d’animo e sentimenti: la perdita di una persona cara, le solitudini esistenziali e metropolitane, l’insicurezza e l’angoscia del vivere, il proprio corpo e la ricerca di sé, la malattia nei suoi aspetti invalidanti, il rapporto con il cibo, la morte e il tempo che passa, la capacità di amare, la memoria e la nostalgia. Tutto questo emerge dalle immagini di questi giovani fotografi che hanno trovato dentro i propri sentimenti, le proprie emozioni e i propri stati d’animo le chiavi di lettura e di accesso verso un presente complesso e difficile da decifrare, affrontato con i piedi ancorati nel presente e con il cuore e il cervello volti ad interrogarlo e a indagarlo. Come Alice hanno scoperto che lo specchio può diventare una soglia da attraversare per affrontare un mondo fatto della stoffa della propria immaginazione, del flusso delle associazioni, degli stati d’animo più intimi, dei desideri, delle paure e delle emozioni, un mondo interiore che attraverso uno sguardo specchiante si apre in un percorso di conoscenza e comprensione. Guardandosi dentro e andando oltre la propria immagine, hanno cercato una dimensione di verità che potesse essere raccontata e comunicata con un progetto visivo che non fosse solo autoterapia ma anche possibilità di scoprire nuove storie, nuovi punti di vista, nuove dimensioni a partire dal proprio sentire e dal proprio vissuto: da quell’unica realtà che ci appartiene in modo completo e che ci rende autentici, unici e speciali rispetto a tutti gli altri.