Protocollo K.
di Attilio Lauria
Fosse un film, nei titoli di testa comparirebbe l’avvertenza “Basato su vicende realmente accadute”. Dove le vicende sono quelle della Repubblica di Cospaia, microstato situato fra Umbria e Toscana, esistito tra il 1441 ed il 1826. Una repubblica nata per un errore cartografico tra lo Stato Pontificio e la Repubblica Fiorentina e ricordata come anarchica per via del motto “Perpetua et Firma Libertas”. Fin qui la storia, che riporta di come questa striscia di terra larga 700 metri e lunga quattro chilometri divenne la capitale italiana del tabacco e dei contrabbandieri di tabacco, attirati dall’assenza di tasse.
E poi c’è lui, Fabio Magara, che di questa vicenda ci propone un remake, prolungando quell’esperienza fino agli anni ’30 del secolo scorso, in un’Italia in piena dittatura fascista, antitesi perfetta del modello Cospaia: l’uomo solo al comando opposto alla libera convivenza tra famiglie che si autogovernano. Versione immaginaria di cui l’autore si fa anche protagonista, impersonando l’agente “Mosca” dell’O.V.R.A., la polizia fascista, “inviato presso la repubblica di Cospaia per raccogliere quante più informazioni, documenti e fotografie al fine di compilare un protocollo che suggerisca il da farsi ai suoi superiori”.
Dunque, una true fiction, secondo il neologismo che definisce questa antica forma di storytelling, erede del tableau vivant, felicemente supportata da un apparato linguistico basato sull’uso evocativo del mosso e dello sfocato, che, associato ad una grana dall’effetto vintage, risulta assolutamente coerente con certe atmosfere della memoria. Il tutto sorretto da un equilibrato ritmo narrativo, fatto di pause e rimandi oltre l’enunciato fotografico, che conferisce al racconto la giusta patina di torbida suspence.
Ma concettuale questo lavoro lo si può definire non solo per progettazione, quanto soprattutto per il contributo alla riflessione su un tema più che mai attuale in questa epoca di manipolazioni digitali e relative scomuniche. Ovvero, lo statuto di verità dell’immagine fotografica. Come già per Hippolyte Bayard, la cui messa in scena del proprio suicidio ha incrinato da subito il postulato della fotografia come mimesi del reale, anche per Magara non è l’immagine ad essere manipolata, quanto la stessa realtà. Che è un modo diverso di mentire senza mettere in discussione il noema dell’hic et nunc, smascherando così la fallacità di un’ontologia per cui tale condizione, assente nelle immagini di sintesi, è necessaria e sufficiente a garantire verità. Una concezione passatista dagli eterni ritorni, sebbene archiviata dalla stagione della staged degli anni ’80 che segnò l’ingresso della fotografia nel campo delle arti, e alla quale “Protocollo K” si lega idealmente.
Quanto alla poetica, il lavoro di Magara interpreta un sentimento collettivo della contemporaneità molto avvertito, che trova riscontro in film come l’Isola delle Rose: il rapporto cioè fra la libertà individuale e il potere costituito. L’utopia come risposta possibile, ci ricorda Fabio, è un sogno che non muore mai.
Biografia
Fabio è un fotografo umbro nato nel 1981 a Perugia. Conosciuto per i suoi lavori documentaristici sui matrimoni con cui ha vinto numerosi premi nazionali ed internazionali ha inoltre realizzato diversi progetti personali importanti. È del 2016 iNfraRossana con cui realizza un libro ed una mostra presso la Rocca Paolina di Perugia per circa due mesi. Nel 2019 esce Star-Off Kosovo con cui è finalista in diverse tappe di Italy Photo Award e Portfolio Italia. Nel 2020 con Like a Monet vince Italy Photo Award a Trieste. Nel 2022 è tra i finalisti nel Lensculture Street Photography Award. Ha pubblicato su importanti riviste come Il Fotografo, CITIES e su diversi quotidiani locali e nazionali.