E lucevan le stelle
di Maurizio Garofalo
Sono passati 53 anni dalla pubblicazione di “Morire di classe”, il lavoro sulla condizione manicomiale che Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin realizzarono per Franco Basaglia e Franca Ongaro.
Le loro immagini, diventate un libro, scioccarono l’opinione pubblica e furono un’arma molto potente, nelle mani di Basaglia, per far promulgare la legge 180 e la conseguente chiusura dei manicomi.
È obbligatorio partire dai Basaglia perché, senza di loro, questo lavoro non avrebbe potuto vedere la luce.
Per fortuna in 53 anni la situazione è molto cambiata - e il lavoro di Irene Angelino lo mostra bene - ma meno di quanto si sperava al momento del varo della legge. Oggi lo Stato prevede percorsi di recupero e reinserimento alla vita sociale, fino ai diciotto anni; con il raggiungimento della maggiore età il sistema sanitario diventa piuttosto latitante e il problema ricade sulle famiglie o su centri e associazioni gestite dal volontariato.
Per realizzare “E lucevan le stelle” Irene ha visitato tre case di accoglienza, create da un consorzio di cooperative, la “NCO”, Nuova Cooperazione Organizzata, che ridà dignità e opportunità a persone svantaggiate, anche attraverso il riutilizzo di beni confiscati alla criminalità organizzata. Le immagini che Irene ha realizzato nelle “Case” sono quanto di più distante da quelle di Cerati e Berengo Gardin del 1969: il suo racconto della sofferenza mentale è pacato, sereno e non si vedono tracce di privazioni o costrizioni; si fatica a riconoscere quello che per molti anni è stato l’ospedale psichiatrico nel nostro immaginario.
I volti degli ospiti mostrano davvero i segni di un recupero, di un possibile reinserimento nella società, molto vicino, dietro una porta che viene lasciata aperta.
Tutto questo Irene Angelino lo racconta con un linguaggio pulito, minimalista e privo di qualsiasi enfasi, sia nello scatto, che nella post-produzione; il disagio, ove ancora è riconoscibile, è mostrato con grande umanità e rispetto.
Irene è anche un’ottima musicista e conosce (e usa) bene il senso del ritmo nei suoi racconti fotografici. La giusta alternanza tra scene, ritratti e dettagli, fa pensare al fraseggio dei diversi strumenti in un piccolo ensemble, così il racconto non irrompe con prepotenza agli occhi dell’osservatore, ma scorre, pacato e intimo, come una musica eseguita da un trio, o da un quartetto.
Sul piano dell’assistenza verso il disagio mentale, c’è sicuramente ancora molto da fare, ma queste immagini avrebbero emozionato Franco Basaglia.
Biografia
Nasce ad Aversa (CE) nel 1983, flautista orchestrale e docente di scuola secondaria di primo grado, ha compiuto alti studi musicali presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Ha una maturità d’arte applicata in grafica e fotografia e si forma ancora come educatrice sociale e volontaria prima a Roma e poi a Napoli. Studia fotogiornalismo e scrittura di reportage dal 2012 con Massimo Loche, Alberto Crespi, Sergio Siano e Mario Laporta. Dal 2019 è allieva di Antonio Biasiucci presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli iscritta al corso di Diploma Accademico di II livello in Fotografia come linguaggio d’arte. Ha seguito workshop di Letizia Battaglia, Laura Pannack e Pietro Masturzo. Ha collaborato con i giornali Napoli Monitor e Il Crivello e sue foto sono state pubblicate da la Repubblica, Il Corriere del Mezzogiorno e Il Mattino. La sua ricerca fotografica è legata al tema della salute mentale e alle vittime di abusi.