Landforming
di Eletta Massimino
È sopra la terra di Sicilia che l’autore ci porta con il suo drone, regalandoci una visione dall’alto, come fossimo in posizione parallela al suolo, per noi anomala, sperimentabile solo da un volo in deltaplano. Visione che fa nuovo lo sguardo.
E il viaggio inizia subito. L’attrazione immediata è per le inconsuete forme dai densi colori. Alcune richiamano certe opere di Rothko, Mondrian, Kandinsky, altre sembrano provenire da antichi insediamenti umani, altre evocano vita pulsante, come l’ormai noto Cuore dell’Etna, o le cellule animali viste al microscopio a fluorescenza.
Quasi stordisce questo essere trasportati dal pensiero analogico a stabilire similitudini con oggetti conosciuti a cui ricorre il nostro cervello in presenza di immagini inusitate. Ricerchiamo però subito elementi meno macroscopici, ma rivelatori e identifichiamo ruspe, macchinari, capannoni. Si palesano così rughe, cicatrici, profonde ferite e anomale escrescenze che solcano la pelle del pianeta Terra, opera dell’uomo, dello sfruttamento cieco del suolo. Spietata esemplificazione del “Landforming” del titolo: l’azione dell’uomo su ormai tutta la superficie terrestre. Solo nel primo fotogramma i calanchi sono scavati da acque naturali e le migliaia di anni necessari perché ciò avvenga sanciscono la distanza con l’azione fulminea dell’uomo, la cui figura qui non è visibile. Quest’assenza può far interpretare l’uomo come entità ormai aliena a se stessa, non più identificabile, invisibile ai nostri occhi assuefatti all’enormità di un agire disumano e irresponsabile verso l’ambiente. Tale vuoto, comunque, nella visione di Pannucci, geologo e vulcanologo esperto, appare come lucida previsione di un paventato futuro. Se alcune piante e animali sono sopravvissuti alla bomba di Hiroshima e all’inquinamento di Chernobyl, se nelle stesse aree in cui il corpo degli umani si scioglieva come cera o “evaporava” sono sopravvissuti semi ancora capaci di germinare, è chiaro che al perpetuare delle dissennate azioni dell’uomo, sopravviverà la Terra modificandosi, con lei diverse specie animali e vegetali, ma alto sarà il rischio di non sopravvivenza per la specie umana.
Un richiamo allarmato e urgente ad una consapevolezza e un agire nuovi, è contenuto in queste immagini che rapiscono, che Pannucci ha ricercato e offerto provocatrici ai nostri occhi. La bellezza che vi riconosciamo ci porta a sondare il legame di interdipendenza tra i componenti del Pianeta e, assieme, le nostre responsabilità. Non c’è barriera tra godimento estetico e riflessione etica, non c’è attrito, qui come non mai, perché è della Madre Terra che si parla. Il suo corpo può essere scavato, stravolto, ma sopravvive e la sua bellezza permane in nuova forma. L’uomo riversa su di lei le ferite che si è auto inferto, tentando con arroganza di scollarsi dal Tutto originario, caoticamente fertile e non le riconosce come tali, non sa più ascoltare le parole silenziose della Terra, ma non è detto che ciò non possa ancora accadere.
Biografia
La fotografia di Stefano Pannucci (Catania, 1962), geologo e vulcanologo, esplora la fisicità della Terra offrendo un contributo scientifico al reportage ambientale anche attraverso particolari riprese aeree. È autore di diversi progetti fotografici. Le sue fotografie hanno ricevuto riconoscimenti in contesti concorsuali nazionali e internazionali e sono state esposte in rassegne personali e collettive. È autore di due libri fotografici: il primo dedicato all’Etna, il secondo all’Aspromonte. Nel 2021 la FIAF gli conferisce il titolo di AFI Artista della Fotografia Italiana.