Una questione privata
di Luigi Erba
Marzo 2020: lockdown.
Si apre in Italia un nuovo, diverso scenario di vita nel rapporto con l’ambiente, la natura, gli altri e gli animali.
Simone e Giorgia, due artisti di strada, ritirano la loro mamma Marina ammalata di Alzheimer dalla RSA in cui era ricoverata.
Si apre così una nuova dimensione di vita in uno spazio-tempo abituale, ma questa volta inedito: la loro casa.
Gli affetti, ma anche le memorie, i ricordi diventano così in modo totalizzante l’esistenza per tutti.
Gli stessi gesti, gli stessi occhi, le stesse mani per un tempo indefinito.
È una nuova scenografia che mi ricorda la rappresentazione tragica del teatro greco: unità di luogo, spazio e tempo; solo che qui non c’è una trama già scritta che porterà ad un epilogo quasi prestabilito, tragicamente prestabilito.
Paradossalmente direi invece che in questa drammaturgia familiare, scritta in un bianco e nero attraverso inquadrature
essenziali, sia l’invenzione quotidiana, la linfa che esce come una fonte perenne, inaspettata.
Poi c’è la memoria che rompe quella obbligatorietà di un tempo unico che era della tragedia greca.
Sono i ricordi del teatro nelle strade, ciò che era stato, a diventare i protagonisti di questa nuova drammaturgia spesso quasi suggerita nelle mura domestiche.
Il contenitore teatrale, la scena è ridotta all’essenziale: il tavolo, i pochi arredi, una stufa assurgono a simbologie quasi analitiche
di cui potremmo dire tutto.
Questo interno finito diventa un interno infinito, dove gli autori scrivono attraverso una fotografia in cui il presente e il passato della memoria hanno toni e margini diversi e precisi.
Una scelta linguistica anche nell’impaginazione. Il passato, la memoria, abitualmente soffusi nei toni, qui sono netti, definiti nella sola visione che i fuochi provocano.
Sono spazi narrativi che si inseguono e ti fanno vivere questi momenti nella loro angoscia ma lasciano una speranza della loro possibile provvisorietà.
Ecco direi che l’essenza del lavoro di Giuliano Reggiani è questo rapporto tra il reale e l’immaginato, l’assolutamente reale in uno spazio chiuso e l’assolutamente possibile di un dopo che sarà diverso.
Altrimenti non sarebbe stato così.
Perché? Non so. Se non fossi un inguaribile concettuale direi che è totalmente, assolutamente ciò che vedono gli occhi della madre, sempre e totalmente presenti nella loro paradossale assenza.
Ecco direi che anche gli occhi sono i protagonisti perché ci spostano il punto di vista: il nostro come fruitori, ma soprattutto quello
della madre e del cane.
Poi è un sostanziale immedesimarsi da parte del lettore e del fruitore dell’immagine, quel “coro” oggettivo che era proprio della tragedia greca qui trasfigurato.
E quindi… Le finestre, in cui le sbarre delimitano spazi interni-esterni.
Anche qui forti simbologie da cui potrebbe iniziare un ulteriore film o meglio rappresentazione.
Un dentro-fuori che è poi la soglia della vita e dello sguardo.
Biografia
Giuliano, classe ʼ72, progettista elettrico di automazione industriale di professione, è fotografo per passione.
Con l’avvento della fotografia digitale, inizia a collaborare con fanzine specializzate in musica underground, immortalando concerti
ed eventi culturali a carattere musicale.
Allo stesso tempo realizza, per l’azienda in cui lavora, servizi fotografici destinati a cataloghi ad uso commerciale.
Nel 2014 diventa socio del Photoclub Eyes di San Felice sul Panaro conoscendo così la FIAF; grazie a un incontro tenutosi all’interno del club stesso, sui portfolio fotografici, decide di dedicarsi completamente a questo tipo di canale espressivo, prevalentemente a tema sociale e antropologico.
Dopo anni di digitale, inverte la rotta iniziando a lavorare in analogico su pellicola in bianco e nero.
Un altro incontro organizzato dal Photoclub Eyes lo spinge un pò più in là e approccia anche le “antiche tecniche” realizzando lavori alla gomma bicromata.
Per i suoi portfolio ad oggi ha ottenuto molti riconoscimenti.