Il Palazzo dei destini incrociati
di Maurizio Garofalo
Corviale è un’utopia infranta.
L’idea di Mario Fiorentino, capo di un gruppo di architetti, era di realizzare una piccola città, autosufficiente, in cui i residenti (4500 persone) potessero vivere, relazionarsi e autodeterminarsi grazie alla presenza di molti servizi e spazi di aggregazione. Era un’idea rivoluzionaria, rispetto a tutta l’edilizia degli anni Sessanta che aveva realizzato residenze prive di servizi, tanto da far nascere la definizione di “quartieri dormitorio”.
Il tema della “città lineare” non è nuovo: nel 1882 l’architetto Arturo Soria y Mata aveva coniato il termine “Ciudad lineal”, progettando un insediamento di larghezza definita costruito su un asse centrale la cui lunghezza poteva essere potenzialmente illimitata. Nel 1945 il piano urbanistico per la ricostruzione della città sovietica di Stalingrado (oggi Volgograd) prevedeva un quartiere realizzato in lunghezza, diviso in sei fasce parallele distinte per destinazioni d’uso.
Negli anni Trenta Le Corbusier aveva proposto un progetto urbanistico per Algeri che prevedeva, tra l’altro, un edificio fronte mare talmente lungo da ospitare sul tetto una arteria autostradale (ma il progetto venne rifiutato dalle autorità). La legge Bucalossi, del 1977, prevedeva forti sconti sugli oneri di urbanizzazione in cambio della realizzazione di opere al servizio della collettività. E di servizi Corviale ne prometteva tanti: quattro teatri all’aperto, uffici circoscrizionali, la biblioteca, scuole (dall’asilo alle medie), servizi sanitari, un mercato, una sala riunioni di cinquecento posti e un intero piano, il quarto, esclusivamente dedicato alle attività commerciali e artigianali. Ma si sa, le case rendono da subito, teatri e biblioteche meno; quindi, il progetto rimase privo dei servizi necessari, assumendo da subito l’aspetto di una astronave in avaria, atterrata in mezzo al nulla. Le prima abitazioni furono consegnate nel 1982 e pochi mesi dopo iniziarono le occupazioni abusive delle case e del piano “passeggiata” che avrebbe dovuto ospitare le attività commerciali.
Mario Fiorentino morì nello stesso anno, senza vedere la sua opera completata, senza sapere che il Nuovo Corviale sarebbe diventato il simbolo del degrado delle periferie romane. Nel tempo molti autori hanno fotografato Corviale, il “Serpentone” (com’è stato rinominato per via della sua lunghezza), spesso per denunciarne il “brutalismo” architettonico o lo stato di degrado, ma raramente mostrando le persone che vivono il palazzo; forse per una sorta di pudore o timore reciproco.
Trent’anni dopo, Aldo Feroce torna a Corviale, dopo averne documentato la nascita e lo fa senza preconcetti o pregiudizi: entra nelle case, realizzando immagini che smentiscono l’idea di abbandono che da sempre circonda l’edificio. Mostra colori e oggetti, ascolta i racconti di residenti che si organizzano per rimediare a decenni di mala gestione (se non totale assenza di gestione). Si percepisce la forte empatia con cui guarda ai luoghi e alle persone, quasi a voler ribadire che l’idea, quella originale, di una città nella città, dotata di servizi e spazi per la collettività, di una “passeggiata” interna con tanto di botteghe, avrebbe potuto funzionare, se realizzata nell’interezza del progetto originale. Grazie alle fotografie di Aldo, Corviale, per una volta, non è un’astronave atterrata in mezzo al nulla.
Biografia
Dopo un inizio come fotografo matrimonialista, la passione fotografica si sposta su temi di attualità sociale e documentaristica. Ad oggi, alcuni suoi progetti sono stati pubblicati su riviste di settore: "Second Class", "Ship Breacking Yard", "Compartiendo Esperanzas", "Yo soy Fidel", "Ritorno a Corviale", "Kafka am Romer Stadtrand". Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui: "Before night falls" medaglia d’oro e secondo posto al "Mifa 2020", "Yo Soy Fidel" medaglia argento al "MIFA 2017" e al "FIIPA 2017", "Aci Pistoia 2018" medaglia d’oro, "Premio Eliana Missoni 2018" secondo posto e "Fondazione Almagià 2019" secondo posto.