5ª Biennale dei Giovani Fotografi Italiani
17 settembre - 13 novembre 2016
Istituto Italiano di Fotografia di Milano
Sezione Scuole

di Gigliola Foschi

Grazie al tema “Contaminazioni”, aperto a molteplici interpretazioni e suggestioni, numerosi allievi del secondo anno del corso Superiore Professionale dell’istituto Italiano di Fotografia hanno deciso quest’anno di partecipare alla V Biennale dei giovani fotografi italiani. Alcuni hanno rielaborato e ulteriormente approfondito ricerche già avviate con altri docenti del corso (come, ad esempio, quelle iniziate con Erminio Annunzi, Gabriele Croppi o Roberto Mutti), altri le hanno create appositamente dopo una riflessione collettiva. Ne sono emersi lavori molto variegati dove il tema proposto dalla Biennale è stato declinato in molteplici modi non solo tematici ma anche stilistici, a volte fondendo la fotografia con altri media. Il tema del paesaggio “contaminato” è stato affrontato, ad esempio, con modalità decisamente innovative, ormai lontanissime dagli stilemi della scuola di paesaggio italiana degli anni Ottanta e Novanta. Federica Campanile mostra una campagna rigogliosa, dove all’orizzonte si stagliano disciplinati filari di alberi, ma, grazie ad alcuni specchi ci rivela gli elementi intrusivi e incongrui che stanno al di qua dell’inquadratura: capannoni, piloni dell’elettricità, villini anonimi… Per certi versi “doppio” è anche il lavoro di Fabiola Catalano, che usa il foro stenopeico per trasformare le camere di alcuni suoi amici in spazi misteriosi dove si riflette il paesaggio esterno. Con “Cielofabbrica” Martina Zanini miscela invece fotografia e interventi ad acquarello fino a creare immagini di fabbriche che paiono corrodere l’aria e se stesse con inquietanti nuvole acquose. Sempre basate su una tecnica mista, in cui convivono fotografia, grafica e pittura, sono le opere surreali, divertenti e iper colorate di Enea Fiorucci. Di una vera e propria contaminazione ambientale ci parla invece l’originale e sottile lavoro di Danilo Calcaterra “Rifugiati Nucleari”, dedicato alle persone che, nonostante ogni divieto, continuano a vivere nei pressi della famigerata centrale nucleare di Chernobyl. Samantha Rivieccio rilegge alcuni quadri “icona” del passato inserendo ironiche e spiazzanti presenze contemporanee. Dedicato a natura che rischia di essere sempre meno “naturale”, il lavoro di Martina Giacon propone una serie di still life colorati e giocosi delle verdure che appaiono sulle nostre tavole. Ma, grazie alcune strane pastiglie, ci induce a domandarci se tali invoglianti verdure sono davvero naturali o geneticamente modificate. Federica Calzi accosta immagini dove il corpo dell’uomo e quello della natura paiono incontrarsi e rimandarsi poeticamente l’uno all’altro. Sempre basate su dittici sono le opere di Jessica Granata che, pendendo spunto dal fenomeno fisico della “coalescenza” (dal latino coalescens, ovvero “unirsi assieme”) fonde insieme artificio e Natura per suggerire nuove unioni nate senza il bisogno di apporti energetici a spese dell’ambiente. Proposti in forma di libri autoprodotti – o di dummy come vengono ora comunemente chiamati – troviamo, oltre a quello di Granata, anche altri lavori. Lavori che testimoniano come, in alcuni casi, la presentazione tramite libro possa risultare più efficace e coerente rispetto ai progetti proposti. Con “Sad Memories” Elena Gatti crea, ad esempio, un vero e proprio album del passato in cui, accanto ai luoghi dove giocava da piccola, compaiono le frasi crudeli che le maestre le dicevano per “riportarla” a una supposta normalità dove le differenze tra femminile maschile sono aderenti agli stereotipi. Intima e intensa, capace di mettere in gioco il proprio vissuto, l’operaalbum di Gatti è proposta accanto al libro di Umberto Moroni “Al confine del proprio spazio”. Con un approccio metafisico e sospeso le sue immagini evidenziano come molti edifici contemporanei determinino un senso di estraneità e di non appartenenza in chi li vive. A sua volta straniante, ma anche perturbante e delicato, è il progetto di Laura Ghigliazza, dove alcune ragazze, smarrite alla periferia di Bucarest, misteriosamente perdono la vista inseguite e attaccate da una strano pulviscolo che ne cancella il volto. Evanescenti e ambigue sono le immagini di William Frank, dove i corpi e i volti delle persone ritratte paiono sdoppiarsi e moltiplicarsi nello spazio perdendo consistenza e divenendo simili a eterei fantasmi.