5ª Biennale dei Giovani Fotografi Italiani
17 settembre - 13 novembre 2016
LABA (Libera Accademia di Belle Arti) di Brescia
Sezione Scuole

di Virgilio Fidanza

Il tema Contaminazioni in apparenza sembra svelarsi con sufficiente chiarezza, ma ad una più attenta riflessione sembra perdersi nei meandri del pensiero, tra le molteplici contraddizioni della sua definizione etimologica e il senso in uso comune. La prima, la più evidente e semplice ci viene dall’acqua di un fiume contaminata da rifiuti industriali. Pensiamo infatti che l’acqua contaminata possa divenire altro dal suo essere originario, dalla sua purezza. Infatti il termine contaminazione rimanda subito, almeno nel suo significato codificato, alla perdita della purezza. In realtà, l’elemento “contaminante” si adagia su di essa, la affianca nel suo scorrere, ma ciò che scorre è acqua più cianuro, ammoniaca od altra sostanza. La foglia trasportata dall’acqua non diciamo che è acqua, ma foglia nell’acqua, vale a dire si toccano ma non perdono la loro natura, non divengono altro. Mentre da un punto di vista visivo uno specchio d’acqua senza alcun residuo organico o con residui organici, non appare la stessa cosa. Potremmo dire che dal punto di vista della percezione si ricavano stati d’animo e impressioni diverse. Quindi la contaminazione è forse sostanza solamente apparente, visiva, o ideologica come nel caso della razza pura. L’uomo è uomo oltre ogni sua colorazione della pelle o tratto somatico. L’incontrarsi di due soggetti di pelle diversa non genera qualcos’altro che non sia natura umana. L’incontrasi della mia testa con un cappello mi fa apparire un uomo con cappello, ma non diventare un uomocappello. Allo stesso modo agisce un tatuaggio, dove un pigmento penetra la cute, ma non diventa altro da sé, se non nell’aspetto, nel mero apparire. Il tatuaggio non diventa avambraccio e l’avambraccio non diventa tatuaggio. Allora forse la contaminazione è un mero apparire, in assenza di una definizione più alta e complessa che tratti dell’impossibilità delle cose, di divenire altro da sé, se non nell’aspetto. Una sedia in legno è costituita dal legno di un albero, il legno non diviene altro da sé, se non nell’apparire, nel suo mutare della forma. Questa precisazione ritengo possa essere utile per affrontare la lettura dei progetti fotografici che qui presentano gli allievi della Laba di Brescia. Proviamo ora ad analizzarne alcuni.“Anna” è un progetto di Samira Mosca, a proposito del quale essa scrive: “nel panorama contemporaneo si passa dall’artificializzazione della natura all’antropomorfizzazione della tecnologia. Bisogna quindi prestare attenzione alle contraddizioni del corpo post-umano e al suo rapporto con la macchina.” Sembra qui evidente la preoccupazione che l’umano possa venire annullato (annichilito direbbe Nietzsche) nel rapporto sempre più complesso e “snaturante tra uomo e “macchina” tanto che il corpo involucro di Anna ha uno schermo al posto del volto. Il lavoro di Daniele Torri mette in evidenza la relazione tra la condizione di fragilità, insita nella natura umana, e la cura farmacologica dei mali dell’anima. La “contaminazione” qui sembra diventare mera utopia, nulla può sostituirsi al nostro prenderci cura dell’anima, la promessa farmacologica si rivela insufficiente, perché non si cura delle cause che, andrebbero ricercate nella relazione uomo mondo. Laura Cemin attraverso le sue immagini, che ci rimandano alla poetica di David Friedrich, ci mostra lo spostamento di relazione tra uomo e natura nel contemporaneo scenario di un architettura inglobante ed alienante. Qui pare sia l’umano ad essere elemento di contaminazione, la “cosa” fuori posto. Il progetto di Stefano Conti, dove immagine e testo agiscono sullo stesso piano spaziale in un’autonomia fluttuante, pare dichiarare il resistere delle identità di immagine e testo ad una fusione impoverente dei linguaggi. Sembrano cioè resistere al concetto stesso di contaminazione o addirittura preannunciarne un’impossibilità, se non nell’apparire. Le immagini di Chiara Rota, ci mostrano un corpo “impigliato” in un fitto reticolo che fuoriesce dall’immagine e dal suo passe-partout, per irraggiarsi metaforicamente nel mondo. Relazione e costrizione qui sembrano fondersi in un solo concetto. E poi altri progetti ancora che meritano di essere visti nello splendido scenario del Centro Italiano della Fotografia d’Autore, sono stati realizzati da Francesca Alovisaro, Michela Amboni, Giulia Chiari, Osanna Davi, Carlotta Morselli, Silvia Quadrini e Francesca Rota. Un forte e sentito ringraziamento va agli ottimi e meritevoli organizzatori.