Confini multisensoriali
Testo di Antonio Lauria
Non è mai il mare e basta. In letteratura, nella mitologia, persino nella psicologia, con Carl Gustav Jung che lo lega alla nascita e alla morte. Rifugio amniotico dai simbolismi divenuti immaginario collettivo, che nutre e culla, il mare è sempre metafora di qualcosa. “Non puoi sfuggire al mare”, fa dire Baricco alla protagonista di un romanzo che è esso stesso metafora esistenziale. Immenso da poterne contenere infinite, il mare è “la cosa più bella che abbia mai visto”, confida uno dei protagonisti di “Blind”, il lavoro di Sophie Calle sulla cecità. Che solleva una domanda alla quale le parole da sole non sapranno mai dare una risposta, costrette ad appellarsi a quella multisensorialità del corpo che lo relaziona con il mondo: cosa distingue coloro che vedono da coloro che non vedono? Non puoi sfuggire al mare, e allora è al mare che Marzia Bertelli si affida per una nuova metafora, apparentemente onirica, ma dalla dimensione estetica comunque delicatamente poetica, in felice simbiosi con la propria concettualità grazie ad una suggestione, di quelle che rendono il buio rassicurante. Come le lampade che proiettano cieli e stelle nella notte dei bambini, o un mare popolato da creature fantastiche che viene voglia di immergersi. È lì che potremmo trovare i protagonisti del lavoro di Marzia, persone non vedenti e ipovedenti per ragioni congenite o acquisite. Nella dimensione che avvolge di sensazioni fino a fonderti con tutto quell’intorno dai suoni lontani: “spesse volte sogno di essere dentro il mare” scriveva Pier Paolo Pasolini, “mi dà un profondo senso di felicità”.
Sicuramente di consapevolezza, nel focus di questo lavoro, come un ponte fra due mondi che ci invita a vedere con gli altri sensi in un percorso emozionale, blu come la sintassi cromatica della Bertelli che pervade le immagini. E se comprendere vuol dire immedesimarsi, il disorientamento di una dimensione innaturale è ciò che può avvicinarci alla risposta a quella domanda: è nella vulnerabilità, in quella condizione legata ad un oltre ignoto e non percepibile, che si trova il confine. Un confine che la fotografia può rendere diverso da una barriera grazie alla sua capacità di farsi strumento d’inclusione, come testimonia l’esperienza dell’Autrice, la cui collaborazione con l’Unione Ciechi risale al 2017, quando ha avviato dei laboratori sperimentali dal titolo “Bambini Fotografi”, destinati ad avvicinare bambini ciechi e ipovedenti al mondo della fotografia per stimolare nuovi dialoghi con la società. Complice di questo percorso verso l’altro è oggi la tanto temuta intelligenza artificiale, grazie alla quale i sistemi operativi e gli screen reader legati ad app come “Be my eyes” sono sempre più collaborativi, così che quel rapporto tra fotografia e non vedenti, dall’apparenza di ossimoro, si trasforma in una nuova libertà espressiva e di movimento.
Lontano dall’essere una forma di solitudine, il mare di Marzia rappresenta dunque l’avvio di un percorso di rinascita che fa della polisensorialità un codice di comunicazione e integrazione alternativo, grazie al quale tutti noi potremmo sicuramente imparare a vedere di più.